Una messa in visione by Giacinto Di Pietrantonio
Una messa in visione
By Giacinto Di Pietrantonio
Iniziamo con una domanda: perché Philip Tsiaras è un artista contemporaneo?
Owiamente, non perché è nato in questo secolo, precisamente nel 1952 nel New Hampshire sito negli Stati Uniti, nazione che più di ogni altra ha caratterizzato il XX secolo, ma in quanto il suo lavoro-opera riesce a sintetizzare problemi, illusioni, realtà e immaginario di alcune conquiste del Novecento mettendole in rapporto con il resto della storia: il passato. Difatti, tentare una tale operazione di messa in contatto con il primo vuol dire porre il presente al servizio della ricerca dell’origine. Allora, il qui ed ora dell’attualità, (il Chi siamo?) se non serve a riscrivere le speranze
del futuro, le utopie da realizzare, (il Dove andiamo?), dà invece disposizioni per ricostruire, contattare il passato (il Da dove veniamo?). Quindi, è un lavoro che ci parla di quei temi di sempre che l’umanità sente come necessari, perché li ripropone in maniera diversa in ogni epoca come: religione, miti, creatività, possesso del mondo, esistenza, ecc.
Ma andiamo con ordine. Incominciamo dalla forma che in arte, anche dopo la stagione concettuale, anzi proprio a partire da essa, dal fatto che sappiamo che della forma se ne può fare a meno, ha una funzione decisiva quando un artista, e questo è il caso di Tsiaras, decide di ricorrervi, di esprimerne segreti ed esporne possibilità. Per questo l’artista si è confrontato con diverse modalità espressive: pittura, scultura, fotografia, scrittura, anche se qui ne viene mostrato solo un aspetto, quello del dipingere, appunto. Un confronto di mezzi e tecniche che riporta alla memoria quel dibattito centrale per il nostro secolo e in qualche modo non ancora del tutto risolto sulla possibilità artistica del mezzo fotomeccanico. A questo si aggiunge un altro problema, quello del rapporto tra serialità e unicità legati ai rispettivi mezzi di espressione, ma è già stato dimostrato, e Tsiaras aggiunge una sua versione, che sia nell’uno sia nell’altro la questione può essere ribaltata e difatti l’artista ha realizzato foto che sono pezzi unici e dipinti che si sviluppano per serie. Che questo dibattito sia una discussione centrale del nostro secolo non ha bisogno di essere ulteriormente dimostrato, perché sappiamo bene che tutta la modernità ha retto il suo destino ideale e materiale su questa dialettica; tant’è che l’epoca postmoderna in cui ci troviamo a transitare per uscire dalla modernità e arrivare al nuovo secolo riformati, ha rilanciato proprio la questione tra serialità e unicità, che sono poi metafora di collettività e individualità con la proposta di rovesciare il tutto con l’unicizzazione della serie e la serializzazione dell’individuo. Per quanto ci riguarda, per ciò che attiene all’opera dell’artista di cui ci stiamo occupando, ciò risulta evidente nei suoi vasi in cui un oggetto di serie, una cosa quotidiana, viene formato e individualizzato proprio per rispondere alle diverse esigenze dell’umanità nel suo ciclo di nascita-vita-morte-rinascita, oppure nella serie dei Kitratti liquidi in cui proprio quanto c’è di più unico, il proprio volto che è l’identità, viene serializzato con l’aiuto dell’opposizione, ancora una dualità, con il mescolamento, ancora una molteplicità, di forme geometriche e informali a loro volta segni e simboli della razionalità del moderno e della casualità postmoderna.
Tutto questo processo indica come l’arte sia sempre in rapporto con la società, sarebbe meglio dire con la realtà, anche quando sembra, come è accaduto nel nostro secolo, ritirarsi in se stessa, rinchiudersi nel suo sistema: artista-galleria-museo-rivista d’arte-collezionista. Difatti, è proprio questo a emergere in un’intervista rilasciata dall’artista a Michael Komanecky che, alla domanda se ammette la manipolazione, risponde: “Cosa è la vita senza un piccolo trattamento”. Ecco, se noi pensiamo all’arte come a un piccolo trattamento, riusciamo a cogliere il passaggio di questa nella vita, ad un suo ruolo nell’esistenza. Che con tale interpretazione siamo sulla buona strada, non sono solo le parole di Tsiaras a dircelo, ma, quello che più conta per un artista, le sue opere che contengono al loro interno elementi diversi di rappresentazione leggibili a vari livelli. Da una parte ciò si nota nel suo processo che passa dalla figura all’astrazione, altro problema discusso in questo secolo, in questo caso con un aereo, un oggetto-macchina che contraddistingue il nostro tempo, ma anche un oggetto che si trasforma in segno-croce e quindi ancora un movimento di passaggio dal presente al passato, da qui all’origine. Origine come desiderio antico dell’umanità di volare, staccarsi dal suolo terrestre che nella mitologia occidentale è legato al tentativo di Dedalo e Icaro, alla mitologia della Grecia – terra di provenienza degli antenati dell’artista. Qui, la sua pittura chiarisce il rapporto tra un mito collettivo e la condizione individuale e si dà come modello di riferimento e posizionamento dell’uomo nella realtà. Quindi, la sua pittura parla del desiderio di trasformare la terra, modificare la sua condizione reale in paradiso o inferno tramite l’ossessione occulta di abolire la forza di gravità a cui, per chi ci crede, siamo stati condannati dopo il peccato originale. Difatti, in alcune serie dei suoi dipinti, gli aerei si trasformano in croci in mezzo a una moltitudine di occhi galleggianti che non possono non rinviare a quelli di una (Dio, Jheova, Allah) o molte divinità (Zeus-Giove, Ermes-Mercurio, Poseidone-Nettuno, Efesto-Vulcano). Si tratta di sguardi celesti e segni di sofferenza, simboli ancora una volta di nascita-vita-morte-rinascita, confermato sempre, nella stessa intervista, dal potere di attrazione che l’artista conferisce all’immagina- rio religioso. Ciò ci dà conferma di un altro elemento di collegamento dell’arte all’umanità che per mezzo del religioso, del mito, del magico cerca di entrare in contatto con gli strati interni dell’uomo, con la sua psiche, tant’è che Tsiaras definisce l’artista come “Un buon sciamano, uno sciamano che crea miti oscuri”. Crea o ricrea, ciò non fa nessuna differenza, quando, come in questo caso, ci segnala, ci fa rivivere vecchi miti con una forma nuova, ed ecco tornare la forma di cui parlavamo all’inizio. Difatti, sia che si tratti del volo, o dell’uno che si fa molteplice e viceversa, l’artista ci dà non delle soluzioni, che forse non è suo compito, ma delle visioni personali che sono anche visioni del mondo, perché è nel mondo che queste affondano le sue radici, quel mondo dell’artista che mette in comunicazione immaginario individuale con quello collettivo. Per questo il segno che Tsiaras ha adottato in pittura, pur nella sua cifra personale, si ricollega a quelle culture dell’avanguardia del Novecento come Espressionismo e Surrealismo che hanno lavorato sui problemi dell’originarietà, chi non ricorda l’urlo originario espressionista? E sull’individualità, chi non sa del rapporto con la psicanalisi tentato dai surrealisti? Allora, individuo, originarietà e collettività vengono messi in quadro con un linguaggio di sintesi contro convenzioni e tabù culturali con l’aiuto di segni elementari, strutture di base e liquido informale che rimandano oltre avanguardie e retro- guardie, dopo il passato fino a quelle culture primitive, d’origine, dove l’espressione visualizza, si fa metafora del mondo-universo in formazione che è proprio dell’arte preoccuparsi di dargli una forma, un senso, una visione.
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