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“A Family Poses” by Andreas Bee-Italian version
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“A Family Poses” by Andreas Bee-Italian version

Andreas Bee Una famiglia in posa

 

Philip Tsiaras è nato nel 1952 nel New Hampshire e vive a New York City dal 1978. La sua famiglia lascia la Grecia ed emigra negli Stati Uniti poco dopo la Seconda Guerra Mondiale. I disegni di Tsiaras, così come i dipinti, le sue ceramiche e i suoi vetri, sono stati esposti in numerose mostre negli Stati Uniti e in Europa. Le sue fotografie sono state esposte, invece, molto più raramente.

Family Album, realizzato per lo più intorno alla metà degli anni ’80 e del quale presentiamo qui una selezione, fa parte dei suoi lavori più personali. Nelle immagini, ciò che immediatamente attira lo spettatore è l’atmosfera autentica della vita di questa famiglia. Anche se si tratta di “messe in scena”, dove le situazioni ritratte sono preparate, tuttavia si ha la sensazione che i diversi momenti fotografati siano comunque legati tra loro da forti dinamiche emotive. Nascono allora le domande: come riuscito Tsiaras – punto focale e star delle immagini – a far collaborare la madre, le zie, il padre, uno zio, assoggettandoli alle sue regole? Com e riuscito a far comprendere e accettare le sue moderne concezioni americane ad una famiglia di emigranti greci, legata alla tradizione e ad un mondo determinato da convenzioni antiquate?

“Ho detto loro (a mia madre e alle mie zie) che se non mi avessero aiutato, avrebbero danneggiato la mia carriera. Si può dire dunque, che ho lavorato grazie al loro senso di colpa. Naturalmente credevano in me, ma allo stesso tempo si preoccupavano di non apparire ridicole. Quelle donne sono state grandi. Sembrava capissero esattamente ciò che la macchina fotografica voleva da loro. Gli uomini invece, erano più rigidi. Disapprovavano l’idea di base e hanno posato con estrema riluttanza. Le donne apparivano rinate, eccitate. Tenevano tra le braccia figlio/marito – e io ero in mutande. Una sorta di continuum erotico.”

Alla fine, chiunque abbia partecipato alla lavorazione è responsabile della realizzazione delle fotografie. Chi più chi meno, tutti erano consapevoli del proprio ruolo nella messa in scena delle foto; tutti sono stati testimoni oculari di se stessi e delle proprie fantasie. Si ha spesso l’impressione che gli attori non esprimano le loro emozioni ma che piuttosto, siano rappresentati da esse. L’ambivalenza è il reale punto centrale di questa raccolta. Lo sguardo rimbalza avanti e indietro come tra campi di colori complementari nella pittura concreta: dalla madre al figlio, dal binomio figlio/madre a quello padre/zio, dalla giovinezza alla vecchiaia. L’intensità delle fotografie è in larga misura il risultato dell’insicurezza nei rapporti e della reciproca motivazione dei personaggi. Nella maggior parte delle immagini non esiste un fotografo che operi da dietro la macchina. Esiste invece un gruppo di attori che si mette in posa di fronte a un apparecchio con scatto automatico, obbedendo in questo modo a regole preventivamente stabilite e fidandosi delle proprie intuizioni.

L’astrattezza e l’audacia con le quali Tsiaras ci misura, sono studiate attentamente e si rivelano decisamente perfide nell’effetto finale. Chiunque osservi le immagini si confronta con esse a diversi livelli e comincia ad interpretare e a fare associazioni mentali. Si può ipotizzare, per esempio, che il figlio, forzato a reprimere il suo segreto desiderio edipico nel mondo reale, riesca ad appagarlo sublimandolo in una forma accettabile per la cultura occidentale. D’altra parte, è il mondo dell’arte che permette alla madre e alle zie di abbandonare il ruolo assegnato loro dalla società e di tenere tra le braccia il figlio e il marito (erotico). Ovviamente, è necessario un appello a qualcosa di elevato come l’arte, per sospendere temporaneamente le regole e le abitudini radicate nei rapporti familiari. Tuttavia, l’ironia e l’umorismo che si sprigionano dalla maggior parte delle immagini, pongono un freno ai tentativi di un’interpretazione psicologica e unilaterale.

Quando tutto è ormai stato detto e fatto, non esiste nulla di più comune, di più semplice del proprio album di famiglia. Queste raccolte di immagini generalmente rappresentano il tentativo, da parte di una famiglia, di difendere la propria identità o addirittura, di crearsene una. Per quanto possano apparire personali, gli album escludono completamente la reale interiorità e l’autenticità dell’individuo. Ogni album di famiglia racchiude qualcosa di speciale, pur restando comunque espressione di una comunità nella quale le convenzioni determinano le relazioni di dialogo e di consapevolezza di se stessi. Il Family Album di Tsiaras si rivolge alla biografia collettiva dello spettatore.

“Ho deciso,” dice Tsiaras, “di fare qualcosa di innovativo rispetto agli album fotografici convenzionali. Per questo motivo, ho scelto di fotografarmi sempre in mutande. Mai nudo: mostrarsi nudo sarebbe stato troppo, avrebbe potuto rappresentare un affronto. Apparire indossando null’altro che le mie mutande è stato il massimo che potessi fare per risultare accettabile e allo stesso tempo, scioccante. In un primo tempo la mia famiglia ultra-conservatrice era chiaramente turbata: proprio per questo motivo mi ha sorpreso quanto, e quanto rapidamente, siano riusciti a maturare su questo progetto offrendomi anche il loro contributo concettuale. Certamente, mi ci è voluto del tempo per vincere le resistenze e conquistare la fiducia. All’inizio, per loro tutto era strano e scomodo ma poco a poco sono riuscito a convincerli che ciò che stavano facendo mi avrebbe permesso di realizzare un’opera interessante e importante.”

Tsiaras si sottomette alla sua famiglia e allo stesso tempo tenta di dominarla. Ritrae un clima familiare piacevole e legato al passato ma contemporaneamente domina su questo fragile scenario, come fosse un giovane eroe. L’animosità e nello stesso tempo la familiarità, caratterizzano queste immagini. Esse sortiscono un effetto anonimo e straniarne, dal momento che lo spettatore non riesce a conoscere né l’artista, né i suoi parenti e in molti casi neppure il tradizionale background tipico di ogni famiglia. L’arredamento, le nature morte composte da frammenti di cimeli e, non ultimi, i volti delle persone, sono la testimonianza di un mondo perduto ma non completamente dimenticato. La familiarità con le immagini semmai aumenta quando le si confronta con i propri ricordi e con le proprie fantasie, e quando ci si riconosce in questa o quella situazione.

Perfino le fotografie dell’album, costruite in modo chiaro e leggibile, quelle di rapida lettura, possono essere decisamente profonde: di fronte ad una parete di mattoni bianchi, madre e figlio interpretano il loro ruolo. Tsiaras è in piedi, appoggiato su di un “piedistallo” invisibile. Egli mostra una parte del suo torso nudo, inquadrato da un lato, i fianchi avvolti da un asciugamano, e una sezione delle sue gambe. La testa, le spalle e il braccio sinistro alzato non sono visibili nella fotografia e lasciano il petto come punto focale dell’immagine. Nella mano destra, all’estremità del braccio che scende lungo il fianco, stringe una piccola copia del David di Michelangelo. La madre, più in basso, abbraccia da dietro i fianchi del figlio. Lei indossa una camicia stampata con forme e colori alla Mirò, e sembra concentrata unicamente sul piacevole profumo della pelle del figlio. La scena è interrotta ironicamente dalla riproduzione della statua di Michelangelo e dai motivi della camicia ispirati alla pittura astratta. La miniatura della statua di Michelangelo è impugnata con la stessa indifferenza con cui Davide stringe la pietra da lanciare contro Golia. Se il David del 1504 è stato originariamente un simbolo di mascolinità e di auto-stima e nello stesso tempo, la rappresentazione di una visione del mondo libera e indipendente, la copia in miniatura sembra invece un’espressione del processo attraverso il quale questi valori vengono trasformati in kitsch. La fisicità pura e sensuale di Tsiaras/David si contrappone alla dolcezza velata del corpo della donna-madre. Questa è la celebrazione di una relazione emotiva molto speciale tra madre e figlio, tra donna e uomo. Ma si tratta di una relazione difficile da catalogare e circoscrivere, perché rimanda sempre, inequivocabilmente, ad altre relazioni.

Il conflitto, comune a molti fotografi, rende difficile qualsiasi tentativo di fornire una spiegazione chiara e definitiva. Ci si può chiedere: chi si diverte e alle spalle di chi? La madre alle spalle del figlio narcisista, il figlio per quel tipo d’amore materno che trova così anacronistico? L’emozione sull’intelletto? Come dobbiamo interpretare il rapporto uomo-donna, giovinezza-vecchiaia, vanità del corpo o ostilità, o tra il nascosto ed il palese, il linguaggio autonomo delle forme e l’oggettività, Mirò e Michelangelo? È come se gli estremi giocassero tra loro. Il risultato è che le fotografie vanno ben al di là di ciò che è determinato individualmente. Per concludere, capire fino a che punto si possa essere franchi con se stessi, seppur in modo sottilmente calcolato, aiuta lo spettatore a capire quale posizione assumere di fronte alle immagini di Family Album.